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Le bellezze della Toscana

 Tra le regioni d’Italia, la Toscana è certamente la più illustre, se non per storia, per prestigio di natura e d’arte. La conformazione delle sue città piccole e medie, tutte medievali, tutte stupende, ora distese nel piano, ora in altura, o poste in cima ad alti poggi; la tipica edilizia sacra e civile – campanili, case e fortezze – fatta di pietra grigia e di mattoni sanguigni; la nota dominante dei paesaggi perfetti e rigorosi che si contemplano dall’alto, data dal verde argenteo, colline che scendono lentamente recando monasteri, pievi romaniche, campanili, torri, terrazze di vigneti, bei boschi di castagni, oliveti chiari che salgono sui pendii inferiori dell’Appennino e su tutti i colli, con capre, pecore e maiali che nel pastorale panorama si associano al bove bianco, anch’essi divenuti quadro, campi fecondi tra i riflessi dei fiumi, poi romantici cipressi agili e scuri, con cui l’eleganza del paesaggio tocca il vertice; l’estrema concentrazione di opere d’arte nelle chiese romaniche, gotiche e rinascimentali, come nei palazzi e nei musei; ogni cosa è un invito a una scoperta inesauribile, segno di una storia di molti secoli, della vicenda di grandi civiltà che si avverte ovunque, a ogni passo, e vi si adatta così bene, fin nei più sperduti villaggi. È la terra italiana che ricorda di più i massimi pittori italiani del Rinascimento, con le loro tavole e i loro affreschi in cui si disegnano suggestive città medievali chiuse entro le mura turrite come in un’armatura. Le balze volterrane sono sicuramente di mano di Masaccio, i colli di Torrita e di Sinalunga son certo di Filippino Lippi, miracoli di misura e di greca virtù.


Descrivere le bellezze e le risorse artistiche della Toscana sarebbe come un voler contare la rena del mare. Qualunque itinerario ce ne può dare un’idea. Senonchè viaggiare in Toscana non è facile. Per meglio dire, non è da tutti. Non perché le strade non siano buone: sono anzi, le strade toscane, generalmente ottime strade in massima parte asfaltate; ma perché viaggiare in Toscana significa addentrarsi in un paesaggio tutto imbevuto di intelligenza. Alla vista del Prato dei Miracoli a Pisa o della piazza del Campo a Siena non uno, crediamo, che non si senta senza parola. Un brivido scende nelle ossa, freddo e sottile come un ago. Non v’è nulla di più misurato e di più leggiadro del paese toscano; con quel cipressino lassù, e quella pergola d’uva, e quel pagliaio su quel poggio chiaro d’olivi, e quel mare di grano della Maremma, e quella chiara prospettiva di case dalle facciate tinte di rosa, di giallo, di verde, e quel piccolo porto dove alti alberi dalle vele bianche si alzano e si abbassano, e le isole dell’Arcipelago Toscano che scattano in su, solitarie e misteriose. Ma se non è facile percorrere la Toscana seguendo gli itinerari classici che da Firenze portano a Prato, a Pistoia a Lucca, a Pisa, a Viareggio, o per il Valdarno portano ad Arezzo, o per il Chianti portano a Siena, o per la Via Aurelia portano a Grosseto e a Orbetello, ben più difficile cosa è viaggiare per le strade fuori mano, in gran parte sconosciute ai turisti italiani e stranieri. E’ un sollievo viaggiare per tutti cedesti itinerari, dai più noti ai meno conosciuti. Ogni volta le strade lontane dal traffico provocavano in tutti un senso di scoperta e di meraviglia. Coloro che hanno visitato la Toscana non possono far a meno di rimpiangere i giorni trascorsi in questi bellissimi luoghi, pieni di imprevisti e di scoperte, luoghi non ancora divenuti famosi, beati ancora e ancora relativamente vergini di influssi moderni, dalle amabili, rustiche osterie con la pergola e le belle ragazze che servono, semplici e casalinghe, borghi e cittadine appoggiate con familiare confidenza al silenzio della campagna, dalla civiltà casalinga di artigiani, di fattori, di ortolani, di osti, di barrocciai, e un’aria ovunque che sa di erbe e di cipolle, di aglio e di baccalà, di olio e di vino, di orti odorosi di salvia, di viuzze annaffiate di fresco.


La Toscana è il paese dell’incanto; una terra che resterà sempre sacra per l’uomo. (Quando le città avranno respinto i poeti, questo sarà – come un tempo, molti secoli fa – il rifugio e la culla dei poeti avvenire). Non v’è nulla in Italia, nulla che dia tanto il senso della civiltà, dell’arte, quanto un viaggio attraverso la Toscana. E non già per il fatto che il nome Toscana si associ nella nostra mente ai concetti convenzionali di “terra dell’arte”, nati da lontane letture giovanili. La Toscana da il senso dell’arte, è il fatto che la natura in Toscana ha una veste incantevole che sa di pittura. E, poi, la strada. La strada toscana è una fonte inesauribile di sorprese. Antiche chiese si alternano a borghi medievali e a rocche chiuse entro un quadrato di muraglie e di torri, e tutto, quei muri grigi e sanguigni, i campanili, le torri, tutto s’accorda perfettamente col paesaggio, col color bruno dei poggi, col verde degli alberi declinanti verso la pianura, col ciclo di seta azzurra, appena venato di sottilissimi ricami bianchi e rosa. Viaggiando in Toscana si può vedere che molte sono le grandi strade dalle quali svoltando guidati da cartelli stradali si possono raggiungere monumenti celebri e memorie di secoli spenti. Due soprattutto danno il modo di penetrare addentro l’antica “poesia” toscana : la prima è la Via Cassia, che da Firenze per il Senese conduce a Roma, l’ara è la Via Aurelia, la magnifica strada litoranea che dal confine ligure vi porta fino a Roma sempre a breve distanza dalla spiaggia. Prendendo l’una o l’altra di queste vie, percorrendo le strade secondarie che da quelle si diramano, dappertutto vengono incontro cose di una pregevolezza che fa stupire.
Prendiamo la Via Aurelia, alla quale la nuova guida dedica molte pagine, zeppe di notizie preziose, pari alla celebrità della maestosa via consolare. Prima che incominci la Maremma, ecco Cecina, dove, svoltando a sinistra, si prende la strada per Saline e Volterra. È questo uno degli itinerari più straordinari (anche se tra i meno coloriti) che sia dato percorrere in Toscana. I quaranta chilometri circa che conducono a Volterra sono tipicamente toscani. È una strada solitària, allegra di vigneti all’inizio, poi attraverso una natura selvatica e deserta, fra nude crete di un bianco livido, in mezzo a una Toscana che raramente avviene di visitare. Ed ecco Volterra lassù, alta sul colle di tufo diruto, sull’orlo di un immenso vuoto, chiamato “le Balze”, foscamente incoronata dalle muraglie della poderosa fortezza alzata dai Medici, lontana dal mare, lontana dalle vie degli uomini, lontana dai floridi poggi della vite t dell’olivo, con le sue belle piazze, e le vie in pendenza, le casetorri svettanti sulla distesa di tetti color cenere, la Pinacoteca, lo’ splendido Museo etrusco: ancora medievale, quasi immobilizzata nel tempo.


Se si vuole ancora frugare nello scrigno segreto della Toscana, bisognerà seguire una grande strada asfaltata dalle ampie curve, la Via Cassia, che da Siena porta a Roma penetrando nell’intimo di una terra in cui l’amenità è ridotta a un velo, perché la creta, che vi appare scoperta per ampie zone, vi mette un’aria tesa e diremmo quasi un po’ triste, che non è soltanto nel colore della terra, ma nell’aspetto della campagna e degli abitati. Strana terra, il Senese; e, sebbene si trovi a breve distanza da Firenze, si direbbe che sia lontano da questa città almeno mille chilometri, e tenga più della Puglia che della Toscana. Usciti fuori dalle mura di Siena, per alcune decine di chilometri la strada corre fra le solitudini delle argille, che qui regnano incontrastate. Brevi file di alberi rigano i coltivi e le praterie stampandosi neri contro il cielo. Poi comincia la serie delle diversioni, quelle diversioni che, volta volta, in pochi chilometri portano a patetiche mete turistiche. I borghi che stanno accucciati attorno alla zona servita dalla Via Cassia, sono centri di alto interesse, anche se i turisti li ignorano, nella massima parte. Qualcosa, insomma, per cui vale, in ogni caso, la pena di far qualche ora di treno o di macchina. E vale certo la pena di abbandonare la Via Cassia, volgendo a nord, per vedere Asciano. Se non altro bisogna andarci per i capolavori (Matteo di Giovanni, Lorenzetti, Barna Senese) che si conservano nel Museo di Arte Sacra. Sulla strada pochi chilometri dopo s’incontra Buonconvento, il piccolo borgo tutto rosso, raccolto entro le mura trecentesche, famoso per una curiosità storica, poiché fu entro le mura di Buonconvento che morì, nella triste estate del 1313, l’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo. Da Buonconvento si diparte una strada che termina all’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, il grande monastero legato alla storia di Siena, alle sue ambizioni, ai suoi sogni, campeggiante sullo squallore delle crete, dove i monaci orgogliosamente mostrano il chiostro grande dipinto da Luca Signorelli e dal Sodoma. Poi, a Torrenieri, si abbandona di nuovo la Via Cassia per seguire verso sud il corso del torrente Asso. In neanche mezz’ora di macchina (9 km) si arriva a Montalcino, questa città tipicamente senese, vale a dire rossa di mattoni, piantata orgogliosamente a dominio di un vastissimo panorama di poggi coperti di olivi, tra le più colorite e le più straordinarie della Toscana, legata alla memoria per le vicende della Repubblica Senese, che vi rivisse sotto la guida di Pietro Strozzi. Nei dintorni è da vedere, al termine di un rapido itinerario, la gloriosa Abbazia di Sant’Antimo, edificata nel secolo IX, il cui sorprendente segreto è dato dagli splendori architettonici della chiesa romanica. Dopo molti ghirigori la Via Cassia tocca San Quirico d’Orcia, quest’antico borgo che possiede con l’insigne Collegiata una delle più belle fra le nostre chiese romanico toscane, col portale, celebrato in tutte le storie dell’arte, di Giovanni Pisano.


È una strada piuttosto solitaria, la Via Cassia, dopo San Quirico; è peccato che i turisti la percorrano poco: ha per sfondo un quadro; la Rocca di Radicofani e il Monte Amiata, sono le immagini preminenti del quadro. Radicofani, con la rocca turrita in vetta, è presente di continuo e accompagna nella salita al nudo colle. Qui la Via Cassia tocca il suo punto più alto, circa 800 metri : l’amplissimo paesaggio che di lassù si apre alla vista è un paesaggio moderato, civile, assorto’, non senza una punta di severità, e colpisce chiunque sia capace di un’emozione derivante dalla natura. Ancora vale la pena di abbandonare la Via Cassia, questa volta prendendo la strada che diverge non molti chilometri a sud di San Quirico d’Orcia, per fare il giro del Monte Amiata. Questo itinerario rende felice il viaggiatore romantico, correndo tutto intorno al monte vestito di bellissimi boschi di castagni e di faggi che lo ricoprono come una coltre, dai piedi alla vetta, con quei paesi appiccati e quasi mimetizzati sulla roccia, tra quel colore verde cupo e insieme fastoso. L’Amiata, con i suoi piccoli luoghi di villeggiatura dalle vie strette splendenti di una luce già di montagna, coi suoi campi di neve, è destinato a diventare una zona turistica di alto richiamo. Tralasciando di parlare dei boschi ancora intatti, si hanno stupendi paesaggi, vedute di collina in vista di un “mare” di poggi, ma questo quadro sarebbe incompleto senza aggiungere che l’Armata è il monte del mercurio. Tre sono le miniere che producono il prezioso minerale : l’unico, si dice, per cui l’Italia ha il primato mondiale. Un’altra, tra le più note gite che il turista fa venendo in Toscana, lo porta a percorrere la zona costiera della Maremma, questa lunga, uniforme pianura aperta di pascoli e di campi, con le bianche case coloniche dell’Ente Maremma e una spiaggia piatta e soleggiata. La Maremma toscana è un paesaggio di lineamenti ampi e solenni, di orizzonti immensi, in cui sembra aleggiare tutta la poesia e il mistero delle antiche leggende italiche. Qualunque itinerario, da Cecina o da San Vincenzo, da Venturina o dal bivio di Gavorrano, da Grosseto o da Albinia, ci può dare un’idea della Maremma. Facciamo una passeggiata nella parte meno nota, da Grilli a Vetulonia, le cui strade ci riaccostano alla vita reale del Medio Evo più che in altri borghi, dove il passato è archeologico; da Fonte Blanda a Talamone, sotto i Monti dell’Uccellina, famoso nelle cronache garibaldine;


da Albinia a Magliano in Toscana
. Sopra un crinale, Magliano è un nodo di vetuste mura e di illustri chiese, con l’Annunziata e con l’eccelsa e solitaria basilica di San Bruzio, di cui restano potenti avanzi. Ma per sapere di più, di questa Maremma segreta, lasciamo la vasta piana che si allarga davanti ad Albinia, puntando in direzione delle colline. Tra campi e vigneti la strada ci porta nella Maremma interna, tutta colli sassosi disposti a quinte successive, e boschi di quercioli, la Maremma vera, quella amara, triste e selvatica. Passata la Marsiliana (la villa è lassù, in cima a un colle conico fitto di boschi), s’entra nel territorio maremmano vero e proprio. Ogni nota gaia e vivace qui sarebbe di troppo. Proseguendo senza fermarci troveremo Mandano, cittadina appollaiata sul sommo di un colle isolato, intorno alla Rocca senese. I dintorni della città sono folti d’arte e di centri primitivi. Scivolando più a nord, si troverà con Saturnia una cittadina pre-etrusca, la quale si scelse un luogo stupendo ove crescere. Dopo Mandano, ecco Pitigliano etrusca alta sullo sperone, a picco su tre profondi burroni. Di qui una stretta strada tagliata nel tufo della montagna ci porta a Sorana. Sorana, sperduta e segregata tra due gole in solitudine perfetta, è oggi un nido di rovine. Il turismo frettoloso ignora che questo villaggio maremmano è tra i più suggestivi abitati che si possano vedere ai tempi nostri, essendo tornato al selvaggio con i suoi edifici monumentali, dalla chiesetta di Santa Maria al Duomo romanico, che è uno dei più sorprendenti della Toscana. Non lontano dal Duomo è la necropoli etrusca. Fiorita a una certa qual potenza fra il settimo e il sesto secolo avanti Cristo, Sorana fu tra le più cospicue città dell’Etruria meridionale; di quella sua civiltà ci restano le tombe, tutte sotterranee, alle quali si accede attraverso porte dalle ricche decorazioni architettoniche. Un’altra parte interessante della Maremma è il tratto di costa in cui, da Piombino a Orbetello, si susseguono stazioni balneari, giovani d’anni eppure già illustri, da Follonica a Castiglione della Pescaia a Marina di Grosseto.  
Il promontorio di Piombino, le pinete litoranee, le isole dell’Arcipelago Toscano sorgenti dal mare, la laguna di Orbetello con al di là l’Argentario, sono le immagini di quella costa. Vicino all’Argentario si leva il promontorio di Ansedonia. In alto, accoccolata sulla cima, sorge Cosa. Città romana, non etrusca come si credette fino a pochi anni fa, Cosa fu messa allo scoperto mediante scavi eseguiti dagli americani. Salendovi, subito viene a galla, anzitutto, il paesaggio: quel paesaggio spaziato, silenzioso, col mare deserto davanti, di una solennità, di una dignità che respinge il particolare. E questo è un altro dei luoghi della Toscana che ricordiamo, uno dei tanti che la guida nuova addita e descrive, di quelli nei quali ancora spira intatto il senso della solitudine sacra ch’è tipico della Toscana vera.

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