II vasto piazzale della Certosa di Pisa ampliato lateralmente nella seconda metà del settecento, misura la lunghezza di m. 140 per una larghezza di m. 32. La facciata del Monastero di Pisa che fiancheggia su due ali la Chiesa Sa ha un aspetto grandioso. In origine non ebbe l’odierna disposizione simmetrica dovuta al disegno dell’architetto pisano Niccola Stassi che operò lungamente nel Convento sulla fine del sec. XVIII. Il lato destro comprende nel piano inferiore, magazzini e quartieri per Monaci Procuratori, e di qui si accede in un piccolo chiostro e nell’Archivio mediante un lungo corridoio. Nel piano superiore sono la Foresteria comune e quella nobile o Granducale. Al disopra si trovano le abitazioni dei Fratelli Conversi. Il lato sinistro, accresciuto sulla fine del sec. XVIII contiene a terreno stanze di deposito; il piano superiore è occupato dalle Cappelle che sottostanno a quartieri destinati per le persone di servizio del Monastero. Il corridoio interno da accesso ad un vasto loggione coperto. Il lato minore destro del piazzale, formante angolo col fronte è ornato di grotteschi, genere di ornamentazione largamente adoperata nei giardini delle ville settecentesche : tufi di scoglio, cristalli di monte, pietre scherzose, raccolti in Gorgona, in Corsica, a Portoferraio, ad Uliveto ed a Casciana e composti ad incorniciare gruppi di monaci in cotto, modellati da Angiolo Somazzi ; un decoratore livornese che lavorava di stucchi anche in Pisa verso la fine del sec. XVIII. Dai grotteschi si ha accesso nell’orto ed al recinto che forma la clausura monacale. Nel lato sinistro sorgono due ordini a loggiato, donde si accede ad altri minori edifici. Paralleli alla fronte del Monastero si svolgono edifici minori per le varie Decorrenze. Nel lato destro dov’era l’antica porta principale, fu portata nel 1703 la Farmacia, aperta fin dal 1642 a terreno dove oggi si trova l’Archivio. Si osservino i banchi e gli scaffali settecenteschi lavorati d’intaglio e di tarsie da una maestranza pisana, com’è detto nell’epigrafe a muro resa visibile di recente: “A di 23 nov. 1795. Armadi fatti da Maestro Pasquale Matteucci Pisano: Ed aiutanti Pavolo Zaccagnini e Bruno Ghiara Cascinesi. La decorazione a stucchi, le figure allegoriche dipinte sulle porte e al soffitto sono opere di artisti che dovremo ricordare per altre parti. Notevoli le iscrizioni “Congrua servantur cunctis hic pharmaca morbis,, e “Altissimus creavit de terra medicamento et vir prudens non abhorrebit illa”: un invito cortese in forma metrica ed un monito preso dal libro del1′ Ecclesiaste. La Farmacia ebbe fino ai giorni nostri meritata rinomanza.
E una costruzione del secolo XVII. Colonne doriche di pietra serena su basamento continuo, sostengono un architrave interrotto da un arcone in corrispondenza dell’ingresso. Nel fregio sta scritto : ” Cartusia Pisarum fundata Anno R. S. MCCCLXVI”. Fiancheggiano l’arco due sentenze tratte dagli scritti di S. Girolamo e di S. Basilio ad esaltazione della vita solitària: “Habitantibus hic oppidum carcer est et-solitudo paradisus”, l’una, e l’altra ” Solitària vita ccelestis doctrince schola est et divinarum artium disciplina”. In alto una piccola statua di S. Brunone fondatore dell’Ordine, su di un frontespizio rettangolare entro il quale spicca la notissima esclamazione : ” O beata solitudo o sola beatitudo”. A destra dell’atrio è la cappella di S. Sebastiano eretta per il pubblico nel 1672 su disegno del Certosino Don lacopo Boccamanti, ed ampliata nel 1791. La lunetta ha un dipinto del pisano Giovanni Corucci, scolaro di G. B. Tempesti : la Madonna col bambino, S. Sebastiano e S. Bruno. Il S. Sebastiano dell’altare fu dipinto nel 1791 dal romano Matteo Baccelli; le decorazioni della volta sono di Cassio Natilli che lavorò anche in Pisa nella Cappellina dell’Opera del Duomo. A sinistra trovasi una piccola foresteria; l’affresco della lunetta, pellegrini assisi a mensa, è d’ignoto autore. Il motto che l’accompagna ricorda il dovere dell’ospitalità : “Qui suscipit hospitem suscipit Christum”. L’edificio del Vestibolo fu costruito nel 1672. Il visitatore entra nella foresteria ed attende la guida che lo condurrà nel Monastero.
In altri tempi si giungeva alla Certosa di Pisa per la via che venendo su dalla Corte formava nell’ultimo tratto una sensibile salita e piegava a destra lungo il muro di cinta dov’era l’antica porta principale di accesso. “Sorto tuttora visibili i resti di questo ingresso: un grande arco di pietra nel muro di prospetto, una piccola ” per il “Fratello”, portiere a destra, un arco a mattoni del sec. XIV a sinistra dove si apriva una Cappellina fuori della clausura, chiamala fino a tarda età “delle donne”. Qui oggi si trova la Farmacia del Convento ritornata in onore.Dopo la costruzione del Vestibolo in corrispondenza colla facciata della Chiesa, il Monastero corresse nel 1791 1’inclinazione stradale ed ornò di sacre edicolette 1′ estremo percorso. La bella strada che ora si stacca dalla Pieve attraversando gli uliveti è abbastanza recente ; porta il nome di Francesco Ruschi perché nel 1847 la ideò e la volle. Mediante un viadotto sbocca nell’antica che, formato un semicerchio dinanzi all’ingresso del Cenobio, risale a destra fino a Montemagno.
La solitudine vera nella Certosa di Pisa è nella cella. La campana indica i diversi esercizi nei quali il tempo è distribuito: preghiera, meditazione delle cose sacre, studio, lavoro manuale. Nell’atto che li compie il Certosino sa di trovarsi spiritualmente unito ai suoi confratelli che fanno altrettanto nelle celle claustrali, tutti assorti in un medesimo ideale, tutti animati da una comune speranza. “Pax multa in cella”; “Cella a Coelo”; “Cella continuata dulcescit”;…. queste ed altre massime scritte sulle porte, egregiamente interpretano lo spirito che dentro vi regna. Quello che per noi accade alla vigilia di una seria risoluzione da prendere, sotto il peso di qualche grave responsabilità, quando rientrando in noi stessi vogliamo attorno la solitudine e il silenzio, è per i Certosini l’atteggiamento continuo della loro anima e quasi lo scopo unico della loro vita. Quale ammonimento questi solitari, lontani dal tumulto delle città, dove gli uomini si arrovellano nelle lotte di ogni ora troppo spesso fatte di egoismo e di passioni smodate! Avvicinatene qualcuno: proverete l’incanto che emana dal trattare con persone di alto sentire, aperte da un lungo tirocinio di pensiero e di disciplina alla pietà verso le umane miserie e ad una grande bontà per tutti, perché la Bontà Divina contemplano nei libri assiduamente meditati, nei salmi che recitano, nei fiori amorosamente custoditi nel piccolo giardino, nelle verdi colline che coronano il Cenobio. O Bonitas !
Lo studio ed il lavoro nella vita rappresentano tappe fondamentali nella vita quotidiana della Certosa di Pisa. Gli antichi Statuti dell’ Ordine lo chiamano “l’eterno alimento delle anime”, e l’ionografia sacra rappresenta il Certosino in atto di leggere : in angulo cum libro. Prima dell’arte della stampa, il copiar manoscritti era una delle occupazioni imposte dalla Regola ai sacerdoti. Ristabilivano a prezzo di pazienti ricerche il testo perfettamente corretto, mentre altri alluminavano e rubricavano le carte con quelle inimitabili lettere ornate, con quelle iniziali a tratti così fermi, a colori così vivi e tenaci che invano se ne cerca il segreto. Nel sec. XV i Certosini stessi si fecero anche impressori : la prima opera, conosciuta con certezza, uscita dalle loro tipografie, è “l’Historia flende Crucis” edita a Parma per fratres Carthusice nel 1477. I più distinti per santità ed austerità di vita furono degli intrepidi lavoratori, a dimostrare quanto il lavoro della mente serva per mantenere il fervore della vita contemplativa. Una “Biblioteca Cartusiana”, comprenderebbe il numero di ottocento autori. Basti ricordare fra i più noti : Dionigi l’estatico, Ludolfo di Sassonia, Lanspergio, il Surio e poi il Le Couteulx e il Le Mason. Occupazione preferita dal Certosino è lo studio delle Sante Scritture, della Teologia, della Mistica che offre la conoscenza dei veri principi della spiritualità. Gli studi profani non sono positivamente vietati ma vengono ritenuti come non confacenti ad un Religioso che voglia essere alieno da ogni vana curiosità per mantenere 1’anima in continuo raccoglimento. Alcune ore del giorno son dedicate al lavoro manuale, voluto dalla Regola come necessario per la salute fisica e come un sollievo : coltivare il giardino, dipingere o modellare soggetti sacri, scolpire in legno, lavorare al tornio, fare opere d’intarsio. La mente si riposa e il corpo ne ritrae vantaggio. Anche qui sono vietati l’eccesso e la dissipazione dovendo tutto contribuire al miglioramento dello spirito ed al maggior fervore. La storia dell’Ordine ricorda molti individui che acquistarono notevole abilità nelle arti poste al servizio del tempio e nella decorazione delle Case Monastiche.
La vita dei Certosini, giudicata spesso da chi non la conosce come troppo austera non è quella di eremiti piena di difficoltà e di rischi ed abbracciata perciò da un numero limitatissimo di individui. L’eremita vive nell’ isolamento e nella indipendenza, invece il Certosino obbedisce ad una Regola e ad un Superiore della casa, si riunisce ai suoi confratelli per gli uffici divini in Chiesa, per le adunanze nella cappella del Capitolo, per il colloquio concesso in determinati giorni, per il passeggio settimanale “spatiamentum”, al di fuori del Monastero, per i pasti nel Refettorio alla domenica ed in altri giorni festivi. La Regola dell’Ordine vuole che il giorno e la notte siano santificati con un avvicendarsi di occupazioni, interrotte da onesti sollievi che rendono più spediti a riprenderle con nuova lena. L’ufficio notturno che dura nel coro in media tre ore è preceduto da quattro ore di riposo e seguito da altre tre. La giornata è dedicata in gran parte alla liturgia : Messa conventuale che si canta sempre, seguita o preceduta dalle Messe piane celebrate contemporaneamente dai diversi Religiosi, ciascuno nella cappella destinatagli ; recita dell’Ufficio canonico in cella, coll’ Ufficio della B. V. Maria “de beata”, meno il Vespro di quello, che ogni giorno si recita in Coro, seguito spesso dall’Ufficio dei morti. Nelle feste l’Ufficio vien cantato per intero al Coro, eccetto la Compieta. Le ore antimeridiane libere ed il tempo dopo il Vespro sono dedicati alla meditazione, alla lettura spirituale, all’esame della propria coscienza in Coro, seguito spesso dall’Ufficio dei morti. Nelle feste l’Ufficio vien cantato per intero al Coro, eccetto la Compieta. Le ore antimeridiane libere ed il tempo dopo il Vespro sono dedicati alla meditazione, alla lettura spirituale, all’esame della propria coscienza.
Chi crede che la vita dei Certosini sia fatta soltanto per espiare delle colpe, oppure sia la risoluzione di una crisi di coscienza e di un dramma interiore ; chi vede nella Certosa di Pisa un porto di naufraghi della società che attendono in solitudine la morte come una grande liberatrice : è in errore. Casi di tal genere nella storia quasi millenaria dell’Ordine si sono verificati ben di rado, e non sono proprio questi a dar ragione della continua vitalità dell’Istituto Monastico. Lo sviluppo che questo prende per fare accorrere nelle sue file di individui diversi di grado e condizione sociale, e di svariate attitudini, dimostra come il genere di vita praticato nelle Certose sia secondo la portata di molte persone che pur se ne crederebbero incapaci. Alcuni vi sono condotti dalla attrattiva della solitudine e della vita interiore ; altri vi chiedono un rifugio contro le lusinghe mondane ; ve ne sono di quelli che vi cercano una vita austera; tutti però, quali essi siano, e qualunque sia il motivo che li conduce, offrono la prova più evidente che la Regola Certosina è lungi dall’essere al di sopra delle forze umane. E se volessimo porre dinanzi agli occhi del lettore qualche dato statistico, si vedrebbe che la massima parte dei Certosini hanno scelto e scelgono questa vita in giovane età, nel periodo migliore della loro esistenza, in piena tranquillità di spirito.
Conoscere il genere di vita che i Certosini conducono è non soltanto dar ragione della esistenza e della forma esteriore di tutto l’edificio da essi abitato, ma anche porre nel giusto valore le opere che lo abbellirono attraverso le età non ad ostentazione di ricchezza e di lusso come per l’abitazione di un grande signore, e neppure a diletto del visitatore, ma per rendere il Monastero sempre più degno della vita religiosa. Le particolari contingenze storielle della Certosa di Pisa per gli stretti rapporti con la Corte di Toscana, richiesero nel secolo XVIII una certa condiscendenza alle esigenze di quei tempi pieni di fasto, con sacrificio della semplicità certosina ; resta fermo però che questa fu un’ eccezione imposta da motivi di opportunità, e che la vita dei Monaci nell’intimità delle celle si svolse pienamente tranquillità con vera fedeltà agli Statuti dell’Ordine che mai, ed in nessun caso, ebbero a sentire il bisogno di modificazioni o di riforme. Abbiamo veduto colle opere condotte per secoli una completa trasformazione della Certosa di Pisa ; ma la vita dei Monaci è rimasta la stessa. Sulle pareti del sacro recinto ogni età ha lasciato la sua impronta; i beni del Monastero hanno sentito la ripercussione degli avvenimenti politici e sociali ; passata l’intera proprietà conventuale ad altre mani, i Certosini della Certosa di Pisa sono usciti e poi rientrati come custodi in quella che fu la loro casa ; ma nel continuo agitarsi di uomini, di idee, di cose, né un pensiero delle loro anime, né una parola delle loro preghiere, né la più piccola parte delle loro speranze hanno subito il più lieve cambiamento, conforme è scritto nella divisa dell’Ordine : “Stat crux dum volvitur orbis”.
Le ultime vicende relative alla Certosa di Pisa
Chiudendo gli occhi alla luce nel 1797 dopo trent’anni di Priorato, il Padre Maggi poteva esser ben lieto della trasformazione veduta in gran parte degli edilizi Monaatici. La Certosa di Pisa come oggi si presenta è quale egli la volle. E della decorazione di altre parti secondarie, specialmente delle Cappelle dove ebbero a lavorare pittori e decoratori di Pisa e di Livorno sino agli ultimi del secolo XVIII, sarà detto nella descrizione del monumento. Una cosa sola però da lui ideata nel 1794, per la quale aveva non solo studiato e discusso i disegni ma anche cominciato a provvedere i materiali, dovè arrestarsi: la costruzione di un nuovo campanile in sostituzione dell’antico, più che mai divenuto ruinoso. Gli eventi politici di Francia minacciavano i beni posseduti dalla Certosa in Corsica; il Direttorio si affrettò ad incamerarli senz’altro, e coll’invasione francese in Toscana nel 1799 il Monastero dovè subire la sorte degli altri corpi ecclesiastici. Il Decreto Napoleonico (23 marzo 1808) di soppressione degli Ordini Religiosi in Toscana disciolse la Comunità Certosina che dovè riparare a Pisa nel già convento dei Vallombrosani di S. Torpè, poi nel 1810 i Monaci si dispersero prendendo l’abito di preti secolari. E facile a immaginare la spoliazione delle suppellettili, dei sacri arredi, e delle opere d’arte ordinata dal Demanio francese. Le argenterie, la biblioteca ricca di codici preziosi e di volumi rarissimi, le tele degli altari, le sculture, le campane e perfino la balaustrata marmorea del presbiterio furono posti in vendita. L’edificio conventuale fu risparmiato, forse per espresso volere del Bonaparte, al quale l’8 dicembre 1807 la sorella Elisa Baciocchi principessa di Lucca e di Piombino l’aveva chiesto come casa di villeggiatura nel progettato ampliamento dei suoi Stati. Ritornati i Certosini nel 1814 nel periodo della Restaurazione, qualche cosa fu potuta recuperare, ma per la perdita di quasi tutto il patrimonio immobiliare, la loro attività edilizia si dovè limitare alla manutenzione ordinaria delle fabbriche. Nel 1826 furono acquistati dalla soppressa Certosa di Farneta l’angelo di marmo che serve da leggio nel coro e la sedia ad intagli e tarsie policrome oggi posta a destra nell’abside. Nel 1827 si tentò un rinsaldo del campanile che poi nel 1854 si dovè definitivamente abbattere. In conseguenza della legge 7 Luglio 1866 la Comunità Certosina di Calci era nuovamente disciolta. La custodia degli edifizi colle loro adiacenze e oggetti d’arte fu affidata ad un Monaco Soprintendente, e quella dell’Archivio ad un Monaco Archivista il quale custodisce le pergamene soltanto, perché i libri di amministrazione – di grande pregio e del massimo interesse per la storia del Monastero e per quella delle abbazie benedettine di Gorgona e di S. Vito – passarono all’Archivio di Stato in Pisa, con un criterio degno di tempi ormai sorpassati. Parte del Monastero servì per villeggiatura al R. Conservatorio di S. Anna, ed a più riprese venne affacciata la proposta di destinare la Certosa ad uso di Manicomio ! Poi vi tornarono più numerosi i Certosini, ma come custodi riconosciuti dal Ministero della P. Istruzione. Chi visita oggi la Certosa, ne esce pieno di ammirazione per la generosa sollecitudine con la quale essi assolvono il compito affidato. E se lo spazio ce lo consentisse vorremmo enumerare ad una ad una le opere di ripristino compiute nelle parti più notevoli, come il continuo succedersi di restauri e di miglioramenti, a testimoniare l’amorosa cura di questi singolari custodi che spendono del proprio con signorile larghezza. Almeno una fra le tante ne vogliamo ricordare, inaugurata nel 1930: il rinnovamento degli stalli nel coro dei Conversi, a destra del vestibolo, ed il completo restauro del coro monacale. È tornato in esame il progetto del nuovo campanile secondo il disegno del secolo XVIII. E il desiderio che possa compirsi è di tanti e tanti; vorremmo dire di tutti, perché quelle volontà e quella fede che creavano le opere d’arte di un tempo, oggi per fortuna della nostra Nazione si riaccendono e daranno i loro frutti.
Col priorato del milanese Alfonso Maria Maggi entriamo in un altro periodo di attività durata oltre trent’anni (1764-1797) sulla quale egli più che una sorveglianza amministrativa volle esercitare una vera direzione tecnica, proponendo disegni, modificando quelli presentati dagli artisti, suggerendo correzioni, stimolando l’esecuzione e procurando di persona a Pisa, a Livorno, a Lucca, a Firenze ed altrove i materiali occorrenti. Quest’uomo, che nei gustosissimi Registri di spese c’informa fino alla minuzia dell’andamento quotidiano dei lavori, che raccolse in vari volumi i ricordi della sua Certosa di Pisa, che alternava la composizione di un sermone ascetico – ne scrisse tanti – con la discussione di un progetto edilizio, e visitava i Monasteri della provincia religiosa, e dei viaggi a Grenoble per il Capitolo dell’Ordine lasciava descrizioni interessantissime, chiude degnamente la storia del Cenobio pisano nel secolo XVIII. II continuo accorrere di visitatori cospicui alla Certosa per l’importanza acquistata dal Monastero sugli altri di Toscana, l’opportunità di propiziarsi la Corte Lorenese ospite frequente della casa, consigliavano la destinazione di una parte separata del fabbricato per queste Decorrenze, alle quali in età più tranquille provvedevano una foresteria al lato della Chiesa (1392) ed un’ altra con accesso dall’esterno del Convento, menzionata nelle carte del 1412. In questo appartamento di parata ottenuto per via di demolizioni e di rialzamenti nel fianco conventuale che guarda la rocca della Verruca, furono adoperati l’architetto Nicola Stassi coi costruttori Gian Battista e Michele Toscanelli, tutti di Pisa. Vi lavorarono il Somazzi di stucchi e di riquadro il pisano Luigi Pochini che ebbe ad operare anche in tutte le parti attigue ; ma per le figure in chiaroscuro ai soffitti, alle pareti, ai corridoi, fu chiamato da Firenze Pietro Giarrè che dimorò a tutto suo agio in Certosa alternando il suo lavoro con la decorazione di ville signorili nel pisano e di saloni nel Palazzo Arcivescovile, conosciuto com’era per artista di grande perizia.
La Foresteria, preparata con lusso di mobilio e di tappezzeria secondo il gusto del tempo, a fine del 1774 era pronta. Questi lavori però non distoglievano il Priore Maggi da altri progetti ben più importanti. Primo, la sistemazione della facciata della Chiesa che nel rivestimento marmoreo coronato dal timpano – come ai primi del secolo l’aveva condotta lo Zola – si presentava assai più ristretta dei ballatoi della scala. Abbandonato il motivo di un rifacimento totale, concretava coll’architetto Stassi quello dell’allargamento nei fianchi, che creando un organismo più ampio della misura del tempio doveva più tardi portare anche ad un ingegnoso rialzamento. Vi lavorarono i carraresi Pompeo e Pietro Franchi e Nicolao Franchini dal 1772 al luglio del 1773 innalzando due campate intermedie a pilastro fino all’altezza della cornice e due esterne di minori proporzioni, raccordate colle ali del Monastero di Pisa, intanto che Diego lori di Carrara preparava su disegno del Giarrè le statue della Fede e della Speranza da collocarsi sul portale e le altre di S. Ugo e S. Anselmo destinate ai fianchi della grande finestra. Ma si attese fino al 1780 la messa a posto di queste e di altre statue eseguite dallo stesso lori: l’Assunzione di Maria, S. Giovanni Evangelista e S. Gorgonio. La Vergine Assunta su di un imbasamento triangolare di nubi e di angioli fu posta a coronamento della facciata, perché parve all’architetto questo l’unico ripiego per dare un aspetto di elevazione all’intero edifico. Il ritardo si dovè a ragioni fiscali: la Camera Granducale, a proteggere 1′ industria marmifera in Toscana, essendosi trovate nuove cave a Monsummano ed a Campiglia, aveva inasprito la tassa doganale sul!’ importazione dei marmi forestieri lavorati, ed il Priore Maggi si era recato a Firenze per chiedere a Pietro Leopoldo I – l’ospite abituale del Monastero di Pisa– di pagare soltanto la gabella dei marini greggi. Alla sistemazione della facciata della Chiesa era connessa quella dell’intera fronte del Monastero di Pisa che, come si vede in una riproduzione della fine del seicento, aveva uno sviluppo minore a sinistra. Risoluto di “tirare avanti la facciata del Monastero dalla parte della vigna con uguagliarla all’ala di verso 1’orto non soltanto per ragioni di estetica ma anche per la necessità della casa” il Priore Maggi affidava nel 1774 allo Stassi questo lavoro che richiese circa dieci anni e che portò l’aggiunta di altre quattro cappelle al piano nobile, di una serie di celle per Conversi a quello superiore, e di locali per diversi usi a terreno. Col loggiato a due ordini nel lato minore a sinistra e con la prospettiva a grotteschi in quello di destra, composta da Angiolo ed Erasmo Somazzi, motivo comune nei giardini del sec. XVIII, la veduta esterna della Certosa veniva a prendere un carattere omogeneo e formò la delizia dei disegnatori di quel tempo, a giudicare dalle tante riproduzioni che ci sono rimaste. Il medesimo architetto lavorava in quegli anni alla cappella del Capitolo togliendole il primitivo a-spetto per l’acquisto di una limitata porzione di spazio. Nel Refettorio, dove la costruzione delle volte e la sistemazione dell’attiguo corridoio aveano nei lati minori e nella parete di destra già sacrificato le ogive trecentesche, togliendo luce, ugual sorte subivano quelle di sinistra, ora sostituite da nuove aperture a lunetta. Nel 1776 vi dipingeva il Giarrè dei soggetti suggeriti dalla destinazione stessa della sala e poi passava a colorire il Capitolo.