Vacanze a Volterra

Vacanze a Volterra

 Cenni sulla vita a Volterra, borgo medioevale della toscana turisticamente apprezzata non solo dagli italiani ma da tutti i turisti che sempre più numerosi  scelgono di trascorrere le proprie vacanze a Volterra.

 Volterra anticamente famosa per gli alabastri, ha visto negli anni 60, la fuga degli gli artigiani dell’alabastro ri­spondendo con un notevole vigore imprenditoriale e con la ricerca di sempre nuovi clienti internazionali, appoggiandosi anche in gran parte a Firenze, non mancano elementi di perplessità per due altri aspetti: il progressivo esaurirsi delle cave e l’impoverimento di materiale umano.

 

 Il secondo fenomeno è forse più preoccupante: i giovani non amano questo tipo di lavoro tradizionale e lievemente demodé (almeno nel gusto italiano d’oggi l’alabastro appare legato ai ricordi degli anni ’30: impressione erronea, giacché a Volterra si producono oggi anche oggetti di linea modernissima e funzionale).

 Sempre più diffi­cile è trovare nuove maestranze. Solo i vecchi restano sulla breccia: i giovani, anche quelli che hanno frequentato la scuola d’arte, prefe­riscono seguire altre strade. La stessa sezione alabastri dell’istituto d’arte è del resto insufficientemente frequentata, e dunque le schiere degli artieri, scultori, ornatisti, intagliatori, vanno assottigliandosi

 Qualche difficoltà si registra anche sul piano commerciale: nel com­plesso di un migliaio circa di addetti al settore, domina una polveriz­zazione di iniziative per lo più a livello familiare, eccezion fatta per la cooperativa artieri dell’alabastro, che raccoglie circa duecentocinquanta addetti e rappresenta la factory più importante nel giro globale di un miliardo e duecento milioni in cui è valutata su una media annua l’in­cidenza complessiva dell’industria dell’alabastro volterrano.

 Migliori prospettive per l’attività industriale, che per ragioni di or­dine geografico non ha possibilità di registrare incrementi apprezza­bili in città e nei sobborghi, offre invece Saline. Volterra, situata com’è sulla sommità di un colle che domina e divide le due vallate dell’Era e della Cecina, non offre infatti terreni per l’espansione. Il colle è per di più formato da rocce argillose sormontate da strati di sabbie.

Sono le famose “balze”, che rendono l’altura inaccessibile da alcuni lati e creano d’altra parte un paesaggio orrido e vertiginoso.

A Saline e a Ponte Ginori le saline di Stato hanno prodotto negli ultimi anni circa trentamila tonnellate di sale, la società privata Solvay circa un milione. Sempre a Saline la Larderello inserì uno stabilimento per la lavorazione del doro, con un centinaio di addetti.

Con la na­zionalizzazione dell’energia elettrica il complesso passò interamente all’Enel, il quale se ne disfece passandolo all’Eni. Dopo molte pole­miche, l’operazione si è definitivamente conclusa con un accordo che prevede la cessione alla Solvay del 49 per cento del pacchetto azionario, mentre il restante 51 per cento rimane all’Anic.

Tuttavia nessuno dei volterrani, né di destra né di sinistra, è con­vinto che da quegli stabilimenti possa nascere un programma preciso di valorizzazione industriale della zona, e soprattutto un aumento dei posti di lavoro, anche in corrispondenza di un aumento della produ­zione.

Quest’ultimo infatti, dato il tipo di prodotto, sembra poter na­scere solo da un migliore sfruttamento tecnologico. 

Neppure l’ospedale psichiatrico, che pure da lavoro a circa mille addetti, può essere considerato come un’attività con grandi prospettive future, dati i problemi che solitamente nel nostro paese affliggono que­ste istituzioni.

Le rette che le province convenzionate versano non sono alte, i pagamenti avvengono per lo più in ritardo, i mutui assunti dall’ospedale per far fronte alla vita quotidiana del complesso e agli inevitabili mi­glioramenti comportano aggravi di spesa so­vente assai pesanti per la corresponsione degli interessi.

Alla luce di tutti questi elementi, si comprende meglio perché l’unico settore capace di sbloccare l’isolamento e la stasi di Volterra è il turismo, un tipo di industria cioè che potrebbe tonificare l’economia locale e insieme portare a Volterra un’atmosfera diversa.

Il perché questo fino a oggi non sia avvenuto può apparire sorprendente. Volterra ha un museo e vestigia etnische, romane e medievali di ecce­zionale interesse artistico e storico, splendidi pae­saggi, tutto quel fascino che può rappresentare il risvolto interiore di quella tradizione letteraria di cui parlavamo nell’apertura di questo articolo.

Per di più, vicino com’è al mare e al retro­terra etrusco da un lato, a San Gimignano e Siena dall’altro, potrebbe costituire il centro idea­le per tutta una serie di itinerari organizzati, quel tipo cioè di turismo verso il quale l’azione delle agenzie di viaggio sta sempre più indi­rizzando le migrazioni internazionali.

Il motivo è semplice. Sono mancate e in gran parte ancora mancano le infrastrutture. Oggi come oggi – per dire le cose con la necessaria brutalità – Volterra non è in grado di ospitare nemmeno un convegno di una certa entità. Le mancano pressoché tutte le strutture per far fron­te al turismo di gruppi.

E anche il turismo di élite, i singoli abituati a viaggiare con ogni com­fort, a unire il piacere della scoperta a un sog­giorno confortevole, finiscono loro malgrado per preferire di soggiornare altrove. Esistono infatti due soli alberghi, per un totale di sessantotto letti. Basta un pullman di tu­risti, e gli altri sono co­stretti ad andare a dormi­re a Siena, San Gimigna­no o Firenze.

Ed è evi­dente che non è sul turi­smo di passaggio che si può impiantare un’indu­stria redditizia e stabile, al passo con i tempi e la concorrenza.

Altro grave problema è quello dell’acqua. D’esta­te l’erogazione non supe­ra le quattro-cinque ore al giorno, d’inverno le sette ore.

 Nei punti più alti non arriva del tutto, e sono necessarie le elet­tropompe. Esiste insomma una specie di “coprifuoco” dell’acqua, che viene tolta a scacchiera nei vari quartieri per garantirne a tutti un minimo. Scarso è anche il verde, inteso come aree adibite a pubblico passeggio. Oltre la metà della popolazione attiva dell’intero comune vive nell’ambito delle mura urbane, e questa popolazione dispone sì e no di un centinaio di metri quadrati di verde.

Sul fronte delle vie di comunicazione, un notevole passo avanti per la valorizzazione di Volterra è stato compiuto con l’inaugurazione della superstrada Firenze-Siena.

 Oggi con una macchina di media cilindrata, uscendo dal casello di Colle Val d’Elsa si può raggiungere Volterra in un’ora dal capoluogo toscano. Ma un impulso decisivo verrà dal­l’altra superstrada Pisa-Volterra-Siena, destinata a svolgere quel ruolo che la statale 68, vecchia di oltre un secolo, non riesce più a sostenere.

Ecco dunque un primo elemento consolante per la trasformazione: il prossimo miglioramento delle strade di comunicazione. Ma altri ce ne sono. In un’intervista il sindaco Mario Giustarini, che da oltre un ventennio regge le non facili sorti della città, ci ha detto: “Da sei anni, quando il problema dell’acqua è diventato più drammatico, stiamo portando avanti studi e ricerche. I geologi hanno finalmente trovato nuove sorgenti nel subalveo del Cecina, ed entro un anno dovremmo arrivare a erogare in città 200 litri prò-capite al giorno. Sono inoltre iniziati i lavori per la realizzazione di un acquedotto consorziale col comune di Pomarance. Entro due o tre anni, col com­pletamento di quest’opera, che comporta una spesa di 350 milioni, il problema dell’acqua dovrebbe finalmente essere completamente risolto”.

 
Le novità più interessanti riguardano però il volto fino a oggi se­greto della città. Ce ne parla il professor Fiumi, accompagnandoci a una visita al Piano di Castello, l’antica acropoli della città, che rappre­senta – si può dire – per Volterra ciò che il Palatino rappresenta per Roma.

È un colle proprio nel centro delle mura antiche. Attual­mente in uno stato di romantico abbandono, pieno di vegetazione e di fiori, immerso tra vigne e cipressi, domina silenzioso una visione indimenticabile che spazia dall’Appenino tosco-emiliano al mare, dalle Apuane al monte Amiata

Attualmente si tratta di un paradiso proibito al comune visitatore. Una gran chiave apre un cancello rugginoso. Dentro c’è un mondo affascinante. Ruderi dei tempi etruschi, decine e decine di tombe ancora da scavare e certamente colme di tesori archeologici, la segreta piscina romana in cui Visconti ha girato con Claudia Cardinale alcune delle scene più drammatiche del film.

Il terreno, fino all’anno scorso di proprietà della famiglia Inghirami, è stato ora acquistato dalla Cassa di Risparmio, che con munifico gesto l’ha messo a disposizione della città. E la sua naturale destina­zione sarà quella di parco pubblico archeologico. Il Palatino di Vol­terra appunto, come già qualcuno lo chiama. La soprintendenza alle antichità dell’Etruria ha del resto già dato il suo benestare alla ripresa degli scavi, iniziati nel 1926 e poi abbandonati.

Le eccezionali risorse offerte dal Piano di Castello non sono valide solo sul piano archeologico. Si tratta di una nuova estesa area di verde, e soprattutto di un complesso paesaggistico che si presta a ospitare rappresentazioni classiche, concerti e a permettere ai visita­tori una sosta indimenticabile. Le possibilità di inserire dei servizi di bar, ristorante, delle panchine senza turbare l’armonia del luogo, esistono, ed entro due o tre anni il complesso potrà essere pronto.

Tale certezza si lega a quella che al momento attuale è solo una speranza: cioè la partenza dei detenuti dal Mastio, e la liberazione della splendida rocca al pubblico, con la destinazione a nuova sede del museo etrusco, ormai drammaticamente insufficiente ad accogliere le centinaia di urne e di altri tesori archeologici etruschi. Esiste –è vero –un assenso del ministro della giustizia onorevole Reale, a questo progetto, peraltro condizionato dall’esigenza di realizzare al­trove una nuova sede per le carceri. Si tratterebbe di oltre un miliardo che dovebbe essere stanziato dal ministero del tesoro, e non sarà certo facile impresa ottenerlo.

Altra novità di rilievo nel quadro del più razionale sfruttamento e di una migliore destinazione delle bellezze di Volterra, riguarda il Teatro romano, oggi a dire il vero abbastanza immiserito dalla vici­nanza gomito a gomito di un campetto di calcio.

Negli ultimi tempi è venuto alla luce in seguito a nuovi scavi un imponente pavimento a mosaico, oltre a una preziosa serie di colonne e capitelli. Il teatro, del resto, non sorgeva isolato, ma faceva parte di un grande complesso monumentale che partendo da piazza San Michele giungeva ai limiti delle mura etrusche del Concino, abbracciando la zona coperta oggi dai macelli pubblici, dal podere Santa Chiara, dall’Ortino.

Era questo il quartiere dell’età imperiale costruito per la maggior parte all’epoca di Augusto, che accoglieva il foro, il teatro, il tempio, le terme e al­cune ville patrizie. L’esplorazione e la ricostruzione delle terme fu purtroppo compromessa verso la fine del secolo scorso con la costru­zione del fabbricato dell’Ortino che poggia proprio su alcuni muri dell’edificio termale, mentre anche i resti delle ville romane sono andati in gran parte distrut­ti con la costruzione dei Macelli e con gli edifici che la spinta urbanistica degli ultimi anni ha visto disordinatamente sorgere al di qua e al di là della sìrada per il cimitero.

Sotto la strada nuovi scavi dovrebbero rivelare preziosi reperti archeologi­ci, fra i quali un antico colonnato, mentre destinato a sparire è il tratto di strada che fiancheggia

10  scavo e il campo sportivo e l’area di quest’ul­timo, per la parte che non interessa l’archeologo, arricchita   di   vegetazione,  dovrà  essere   adibita a parco pubblico. Anche a proposito del comples­so del Teatro romano vale quanto si diceva per il  Piano di Castello, sia sotto il profilo storico-paesaggistico che sotto quello del potenziamento ai fini  di attività  culturali e turistiche.

Ma – e con questo torniamo al punto cen­trale – il problema non è solo quello di far venire i turisti a Volterra o di offrire loro un numero ancora maggiore di luoghi d’interesse: si  tratta  di  offrire  al  turismo  la  possibilità  di soggiornare, tout court. Il discorso dell’attrezza­tura alberghiera è di focale importanza. Fino a ora si è vissuto in un clima paradossale. Pole­miche  violentissime  sono  sorte  per  il  progetto di rialzamento di un piano di un albergo  (con l’aumento di una ventina di posti-letto, non certo sufficienti a risolvere il problema delle attrezza­ture).

È il solito dramma delle città d’arte e dei vincoli che giusta­mente le condizionano.

Ma non è solo una questione di vincoli. Da più di dieci anni si parla della costruzione di un nuovo albergo in piazza della Dogana, con uno splendido panorama sulla valle, nessuno però se la sente di rischiare qualche centinaio di milioni per l’impresa. Manca insomma ancora la mentalità imprenditoriale turistica. Eppure una troppo lunga attesa, come abbiamo visto, potrebbe essere molto dannosa per il fu­turo di Volterra.

Gli elementi che il mercato turistico offre sono in realtà consolanti. La sola statistica indiretta che si può compiere, dato che sfortunata­mente come abbiamo visto oggi il turismo a Volterra è solo “di pas­saggio”, è tratta dal numero dei visitatori al museo etrusco. L’anno scorso sono stati venticinquemila, ma ciò che è più significativo è il fatto che dal 1952 a oggi essi sono raddoppiati.

Considerando  –  la  valutazione  è   della  Pro  Volterra  –  che   su quattro turisti uno visiti il museo, si avrebbe una ci­fra globale di centomila turisti l’anno.

Alla stessa Pro Volterra giungono in continuazione richieste da ogni parte d’Italia e dal­l’estero per affitto di quar­tieri e ville, per sistema­zioni in alberghi e pen­sioni.

E sono richieste che per forza di cose rimango­no in parte lettera morta. In realtà, la quiete in­finita di Volterra offrireb­be un bene sempre più raro ai turisti, né mancano nei dintorni splen­dide antiche dimore che vanno in rovina, e che potrebbero essere acquistate a prezzi estrema­mente convenienti e successivamente riadattate per la creazione di club e residenze, come in numerose altre località toscane è stato fatto per un turismo di élite.

Pure, questo splendido isolamento che costi­tuisce l’enorme fascino di Volterra, il suo mi­stero, il senso di questa città che lo stesso Luzi definiva “un miraggio, un’esalazione magica del sottosuolo dove, si avverte, è la vita”, non sareb­be necessariamente compromesso dall’avvento del turismo. 

Vi sono luoghi che chiamano certe per­sone, e che impongono un’esaltazione dell’inte­riorità, e Volterra è di questi. Non crediamo che subirebbe mai il trionfo dell’era del juke-box.

Di questo futuro, di questa nuova dimensione della città, esistono al momento solo speranze e segni consolanti, che abbiamo cercato di indivi­duare. Manca forse ancora un esperimento pi­lota che col suo successo si porti dietro una serie di altre iniziative. 

La nostra analisi, forse anche troppo cruda, vuole essere un messaggio e un appello. Una cosa è l’atmosfera della morte etru-sca, un filtro culturale, un patrimonio letterario: una cosa è la storia di una città del XX secolo, ricca di storia e di tradizioni, che non deve es­sere condannata a un lento, silenzioso e assurdo spegnersi ai margini del miracolo turistico.

Agosto 24th, 2009 by